Cure fuori dall’ospedale, Cittadinanzattiva: «Serve un Dm 70 per l’assistenza territoriale»

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Un cittadino in assistenza domiciliare su dieci aspetta oltre un mese medicinali indispensabili e lo stesso tempo serve per avere una carrozzina per un paziente su tre o un letto antidecubito per un malato su tre. Il fisioterapista arriva dopo dieci giorni per un paziente su cinque. Trovare un medico specialista nel 60% dei casi è impossibile, va meglio per gli infermieri spesso disponibili ma c’è grave carenza di Operatori socio sanitari. Case di riposo e residenze protette sono presenti a macchia di leopardo e a parte poche regioni virtuose (Veneto, Piemonte , Toscana) il loro numero è largamente insufficiente. I centri diurni per l’Alzheimer o l’autismo si trovano con il lanternino. E troppe aree restano scoperte anche sulle cure palliative per i malati terminali, con gli hospice diffusi in modo disomogeneo. Questi i principali risultati del Monitoraggio dei servizi sul territorio, fuori dall’ospedale dentro le mura domestiche, realizzato da Cittadinanzattiva – Tribunale per i diritti del malato con il contributo non condizionato di Abbvie e presentato oggi a Roma. La rilevazione è stata condotta tramite questionari rivolti agli assessorati regionali, Asl, Distretti, Responsabili di Unità complesse di cure primarie e 1.800 pazienti.

La promessa mancata delle cure sul territorio
Insomma se da un lato la riorganizzazione avviata con il Dm 70/15 sulla rete ospedaliera – teoricamente riservata ai casi più gravi – ha comportato la chiusura di strutture ritenute inefficienti e tagliato pesantemente i posti letto nel 60% delle regioni (dal 21,5% in meno nel Molise allo 0,11% della Toscana), dall’altro lato è stata disattesa la promessa di un’assistenza H24 sul territorio. Il risultato è che fuori dall’ospedale, l’assistenza sanitaria pubblica è un colabrodo e la continuità di cura dopo le dimissioni o la presa in carico di pazienti cronici restano speso una chimera, con cure domiciliari difficili da attivare e tempi di attesa insostenibili. Il risultato è che i familiari si sacrificano e pagano l’assistenza di tasca propria, arrivando a spendere fino a mille euro al mese, tra farmaci, integratori alimentari, badante, fisioterapista, materiale sanitario. E quando si ha bisogno di cure e il proprio medico di base non c’è, il 33,87% è costretto a rivolgersi al Pronto soccorso.

«Di fronte a confusione, difformità, ritardi e iniquità nell’offerta di servizi sanitari territoriali che abbiamo rilevato – dichiara Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva – abbiamo una proposta chiara. È urgente che Stato e Regioni lavorino a un Dm 70 dell’assistenza territoriale che, analogamente a quanto si è fatto per gli ospedali, definisca gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici da garantire a tutti i cittadini in tutte le aree del Paese: dal nord al sud, nelle grandi città come nei piccoli centri e nelle aree interne più disagiate. Abbiamo bisogno di poter contare non solo sull’ospedale, ma di trovare nel territorio un punto di riferimento affidabile e presente sempre. E’ ora di passare dalle enunciazioni e promesse ai fatti».

Case di riposo e residenze protette a macchia di leopardo
Le residenze sanitarie assistenziali sono più numerose in Veneto (789), Piemonte (605) e Toscana (319) ma nelle altre regioni il numero è mediamente meno di un decimo della Toscana. I centri diurni per l’Alzheimer non coprono il fabbisogno delle famiglie (si va da un minimo di 1 in Molise ad un massimo di 109 in Veneto, passando per i 4 della Campania, gli 8 della Puglia, gli 11 dell’Umbria) e non va meglio per i centri destinati ai pazienti autistici (presenti solo nel 60% delle regioni). Scarsa attenzione alle cure palliative e al dolore pediatrico con reti cliniche dedicate solo nel 70% delle regioni.

Cure domiciliari lumaca
Per oltre il 16% dei cittadini le procedure per attivare l’assistenza domiciliare sono complicate e il 20,78% attende oltre 10 giorni per riceverle, con gravi conseguenze sulla qualità di vita del paziente. Scarsa l’attenzione alla misurazione del dolore e alle informazioni date ai familiari per gestirlo (in 4 casi su 5 i caregiver non hanno informazioni sufficienti). Se si ha bisogno di parlare con un professionista sanitario in orario diverso da quello della presenza a casa, la reperibilità si concentra nella fascia oraria 7-14, e comincia a ridursi drasticamente dalle 14 in poi. E infatti più di un cittadino su due integra a proprie spese la badante per assicurare l’assistenza di cui ha bisogno.

Sette cittadini su dieci pagano di tasca propria
Nell’ultimo anno è capitato al 38,71% dei pazienti di dover rinunciare per motivi economici ad alcuni aspetti dell’assistenza. Si rinuncia spesso a parafarmaci (creme, colliri, alimenti particolari, ecc.) nel 52,17% delle risposte, eliminati esami strumentali e visite di controllo nel 43.48% e la riabilitazione diventa un optional nel 30,43% dei casi. Sempre nell’arco dell’ultimo anno agli intervistati è capitato di aver bisogno di integrare a proprie spese (70%) le cure mediche, specifici trattamenti o presidi medicali (per esempio le strisce reattive per la misurazione della glicemia). Nell’arco di un mese il cittadino spende di più per i farmaci mentre la voce su cui si investe meno è quella dello psicologo. Più di un cittadino su 10 intervistato sostiene di spendere oltre mille euro al mese tra farmaci, integratori alimentari, badante, fisioterapista, materiale sanitario. Il 28.81% dichiara di affrontare un costo compreso tra 100 e 200 euro/mese e l’11.86% tocca una cifra compresa tra le 200 e le 400 euro/mese.

La salute digitale è a singhiozzo
La sanità è informatizzata nel 90% delle regioni e medici di famiglia e pediatri sono quasi tutti integrati in rete. Ma solo nel 56% dei casi il sistema sanitario digitale regionale è integrato con il sociale e una regione su due ha un piano di sviluppo per l’e-health. Solo il 67% degli ospedali sono in rete fra loro e il 78% dei servizi territoriali. Questo significa che alcuni ospedali e servizi territoriali non riescono a dialogare fra loro nonostante nella regione sia presente un sistema informatizzato. E nel 22% dei casi ospedale e territorio non comunicano. Diffusa la presenza di Cup (circa il 70%). Ancora al ralenti nel 44% delle regioni il Fascicolo sanitario elettronico, che raccoglie in rete tutte le informazioni sanitarie sul paziente.

Telemedicina, le regioni sperimentano
Progetti anche sperimentali di teleassistenza o telemonitoraggio sono stati avviati nel 90% delle regioni. La percentuale di ASL che ha aderito ai percorsi di telesalute o teleconsulto, oscilla da un minimo di 22% in Veneto ad un massimo in Molise, Puglia, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta (100%). Per ciò che riguarda la teleassistenza e il telemonitoraggio si va da un minimo 10% di adesione (Piemonte) ad un massimo di adesione in Valle d’Aosta (100%). Nel Lazio il Report del Tdm cita i risultati ottenuti dall’ Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata (Roma) e dalla Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli (Roma) giunti finalisti al “Premio Innovazione digitale in Sanità 2017”, nella categoria “Integrazione con il territorio”. Tra le altre inziative segnalate, il progetto Persilaa in Campania, un sistema Ict multidimensionale per la prevenzione della fragilità negli anziani; un progetto di Condivisione Cartelle Cliniche fra medici di famiglia e Continuità assistenziale nella Asl TO3. In Veneto si è invece puntato sulla App Sanità KmZero che permette il dialogo tra medico, assistito e farmacista nella gestione farmaci prescritti.

Poca attenzione al dolore
Ai pazienti è stato chiesto se nell’assistenza ricevuta fosse prevista la misura e la gestione del dolore: l’80,99% ha indicato come questa non sia prevista. Anche se il 77,34% dei rispondenti afferma di aver ricevuto una prevista una terapia specifica contro il dolore, il dato generale lascia intendere che le opportunità fornite dalla Legge 38/2010 sulla terapia del dolore e le cure palliative, ancora oggi rappresentano un diritto fortemente insoddisfatto. A questo si aggiunge che né il paziente né la sua famiglia sono stati addestrati a gestire la terapia del dolore (80,03%). Una carenza di istruzioni si registra anche su come prevenire e gestire le lesioni da decubito; il 46,33% non ha ricevuto indicazioni in merito a fronte di un 49,50% di pazienti che ne ha riscontrato la presenza durante il percorso di cura e di un 80,36% che ha lamentato lesioni prima dell’avvio del servizio di Cure Domiciliari.

Aderenza terapeutica, un paziente su tre non segue le prescrizioni
Rispetto alla terapia prescritta da assumere, al 38,24% dei pazienti è capitato di non seguire le prescrizioni ricevute dal medico e Il 33,82% dichiara inoltre di aver rilevato qualche difficoltà a seguire la propria terapia farmacologica. Questo nonostante la qualità delle informazioni ricevute, quando il professionista illustrava la cura, sia stata giudicata molto buona nel 14,71% dei casi, buona nel 38,24%, discreta nel 29,41%, scarsa nel 13,24 % e molto scarsa nel 4,41%. In ogni caso, il medico o lo specialista rilasciano nel 70,59% delle situazioni un promemoria scritto che elenca i farmaci con le indicazioni sulle modalità e tempi di assunzione. Tra le ipotesi che potrebbero contribuire a migliorare l’aderenza alle terapie, il 43.08%, ovvero quasi la metà degli intervistati, mette al primo posto la “disponibilità di avere figure dedicate di riferimento presso la struttura/reparto/servizio”. Il 27,69% dei pazienti domanda inoltre di adattare la terapia in accordo alle loro esigenze, di avere un numero minore di farmaci da assumere e una terapia più breve e capace di mostrare miglioramenti in poco tempo (26.15%).

L’esperienza dei cittadini curati a casa: servono più Oss
Gli operatori sanitari sono descritti dai pazienti intervistati molto disponibili e gentili nel 51,5% e sono considerati chiari nelle loro comunicazioni nel 46,3%. Esiste una certa rotazione tra i sanitari che si recano al domicilio: 2 persone su cinque vivono questi cambi di personale con un certo disagio. Tra le figure sulle quali i cittadini vorrebbero poter contare, ma che non sono presenti nelle cure domiciliari ricevute, spicca l’Operatore Socio Sanitario con il 31,5%, seguito dal medico specialista con il 25% e dallo psicologo con il 22,8%. Poco conosciuti (0,86%) i terapisti occupazionali. Più di un paziente su cinque ritiene che l’assistenza domiciliare potrebbe essere migliorata con un maggiore coinvolgimento nella definizione del piano di assistenza (23,5%), con una facilità di accesso al servizio (23,3%) e la possibilità di scegliere da chi farsi curare/seguire (22,5%). Fari puntati sulla fisioterapia: a grande richiesta sarebbe necessario inoltre aumentare i minuti dedicati alla fisioterapia e migliorare il grado di tempestività nell’attivazione del servizio (1 cittadino su 5 ha atteso oltre 10 giorni e circa il 14% ha incontrato criticità nell’attivazione).

La riforma incompiuta della Legge Balduzzi
A distanza di qualche anno, l’applicazione della Legge Balduzzi, che ha provato a ridisegnare il sistema delle cure primarie con l’obiettivo principale di promuovere l’associazionismo tra i professionisti e garantire l’assistenza H24 e sette giorni su sette, presenta ancora luci e ombre con una varietà di situazioni: alcune Regioni sono andate verso la direzione indicata dalla legge e dunque verso lo sviluppo di due uniche forme aggregative sul territorio, le Aggregazioni funzionali territoriali di soli medici (Aft) e le Unità complesse di cure primarie (Uccp), aggregazioni di più professionisti (infermieri, ostetriche, terapisti della riabilitazione) da tenere aperte tutto il giorno e tutti i giorni. In realtà le regioni si muovono in ordine sparso e il cittadino è spesso disorientato tra sigle e modelli differenti. Manca inoltre una vera cerniera tra ospedale e territorio.

Le proposte di Cittadinanzattiva
Tra le proposte di Cittadinanzattiva per ridisegnare il sistema delle cure primarie, quella di potenziare i servizi che supportano le famiglie, sulle quali grava un peso oneroso dell’assistenza, offrendo uniformità e pari opportunità di accesso a prescindere dal distretto di residenza, rafforzando la presenza di Centri diurni per persone con Alzheimer o autismo, centri di salute mentale o per dipendenze patologiche in primis. Definire “il DM 70 del territorio” per garantire parametri uniformi dell’assistenza territoriale che rischia di essere una entità poco conosciuta o fumosa, anche per via della eterogeneità di nomenclature usate che di certo, non aiutano a comprendere dove sono i servizi, a cosa servono, cosa offrono. Misurare cosa offrono e gli esiti che producono le cure e i servizi territoriali, così come l’uso efficiente ed efficace delle risorse del territorio. Per questo è fondamentale l’efficienza di un sistema informativo unico e interoperabile. Investire sull’assistenza domiciliare. Infine fondamentale il controllo della qualità dei servizi erogati informando bene i cittadini sui propri diritti e a chi rivolgersi in caso non fossero rispettati.

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